Alla costante che lega tutte le fortificazioni all’ambiente naturale, che le condiziona a una certa situazione morfologica del suolo precisa ed inconfondibile e che fa sì che le fortificazioni sorgano e risorgano nel tempo sempre sullo stesso luogo, a questa costante non sfugge neppure il Forte San Martino; una costruzione realizzata con concetti moderni, una fortezza acquattata che sembra non possa avere nessun rapporto con gli antichi castelli turriti.
Una lontanissima notizia di un fortilizio a S. Martino di Albaro ci viene dallo Stella. Nel lungo racconto della guerra tra Guelfi e Ghibellini, che aveva impegnato le due fazioni per quasi tre lustri, dal 1317 al 1331, si legge che il 28 maggio 1322 gli “Intrinseci”, con un gran seguito di fanti e di cavalieri « andarono a S. Martino degli Erchi (l’antico nome di S. Martino d’Albaro) e battagliarono fortemente contro la torre del detto luogo». Anche se ci piacerebbe ubicare questa famosa prima torre nel punto dove sorge il Forte, è impossibile da quel brano degli Annali individuarne il luogo preciso. Ma che questo fosse proprio l’Altura dell’Olivetta, chiamata anche la Collina di Papigliano e non quella legge costante che lega la torre degli Erchi a una situazione territoriale precisa.
Si ritrova un più esatto riferimento al luogo di Papigliano, cioè alla collina ove sorge oggi esattamente il Forte, nella lunga relazione che Michele Codeviola fece al Magistrato delle Fortificazioni il 13 dicembre 1771 in cui spiegava l’importanza delle posizioni del Forte Diamante, del Quezzi, del Richelieu e del Santa Tecla e consigliava la costruzione di un quinto Forte sulla collina di Papigliano, il quale avrebbe potuto difendere meglio la collina di Albaro e impedire la conquista del piccolo borgo di S. Martino.
In quella grande scacchiera tattica che diventava il territorio intorno alla città durante un assedio, il luogo dove oggi sorge il Forte serviva a controllare il passo verso quelle alture e quegli avvallamenti, che appena un secolo fa dominavano sulle fortificazioni delle Fronti Basse del Bisagno e da una quota poco elevata di 97 metri sul livello del mare la più alta in un raggio di 1500 metri sbarrava la strada verso il mare, verso gli approdi di Sturla e verso San Giuliano, attraverso la valletta Puggia.
Il Forte è stato realizzato, al pari di quello di San Giuliano, secondo certi concetti d’architettura militare che hanno avuto per fondamento la presenza della nuova e moderna artiglieria pesante a lunga gittata e, in parte, escludendo un tipo di attacco e di difesa ravvicinata, in cui il bastione, appena mezzo secolo prima, era l’elemento predominante ed indispensabile di tutto il complesso.
Nella forma quasi rigidamente quadrata della costruzione, nello strapiombo e nello spessore della muratura di perimetro, possiamo già intuire quello che sarà, in un breve volgere di tempo, la forma attuale della ridotta in cemento armato. Poiché il Forte San Martino, oltre che punto nevralgico di difesa era stato ideato per alloggiare un gran numero di soldati, fu provvisto di una caserma funzionale e svincolata con un suo recinto autonomo, dal quadrato di pianta dell’intera fortificazione.
La caserma fu progettata e realizzata come un corpo di fabbrica rettangolare a tre piani, inserita sul lato di ponente del Forte, con al centro l’ingresso diviso dall’esterno dal ponte levatoio e con i due fianchi difesi dagli unici due bastioni «a corno», di forma pressoché tradizionale. Sui quattro lati del perimetro il Forte è circondato da un profondo e ampio fossato, arrotondato agli angoli e nella cui muratura di controscarpa corre a mezza altezza una galleria di ronda, con feritoie per la fucileria ogni due metri.
La costruzione fu iniziata nel 1817 subito dopo l’annessione della Liguria al Regno Sabaudo e fu proseguita fino al 1832. I primi disegni di progetto, elaborati dal Corpo del Genio in quei quindici anni e quelli successivi di rilievo e di restauro, indicano tutti una stessa forma definitiva nella sistemazione del recinto esterno, del fossato e della caserma e differiscono solamente nella distribuzione interna delle parti capannate e delle piazzuole per l’artiglieria.
L’ampia piazza d’armi centrale fu suddivisa dalle costruzioni longitudinali e trasversali delle stalle e dei depositi in quattro settori distinti. Contro le due muraglie, quella meridionale e quella di levante, furono addossati i grandi terrapieni per i cannoni a lunga gittata, mentre sul lato settentrionale, meno esposto ed a strapiombo sulla valle, fu approntata una batteria di minore portata, ma non meno efficace. Mentre per i suoi stessi particolari architettonici il Forte è senza dubbio una realizzazione della nuova scuola del Genio che si veniva formando proprio in Liguria fin dall’inizio del secolo XIX, l’idea concreta di una fortificazione all’Olivetta di Groppallo risale presumibilmente all’epoca napoleonica. Una planimetria dettagliata della zona fu fatta compilare dall’Autorità Militare nel 1806; nel punto in cui fu tracciato in seguito il primo schizzo, forse il primo abbozzo del Forte, vi era una piattaforma, un terrapieno probabilmente realizzato a scopo di difesa e indicato nel disegno ” come plateau de l’Olivetta di Groppallo”. Nella stessa tavola fu poi abbozzato a matita e successivamente cancellato il disegno di una grande opera bastionata in cui il terrapieno dell’ Olivetta costituiva solamente il nucleo centrale.
L’idea non ebbe certamente alcun seguito pratico, tanto che una relazione diplomatica dello Stato Sabaudo riporta (dopo aver descritto il nuovo Forte e elogiato la sua difesa) … ces deux forts (S. Giuliano e S. Martino) se tiennent par Santa Tecla au grand systéme de Défence de ce coté du Bisagno, s’ils avaient existé en 1814 nos troupes avaient été empèchés de s’établir aux environs de la place et d’y lancer des obus.»
Il Forte, nelle vicissitudini dei suoi anni, rimase sempre sotto l’Autorità Militare e fu ceduto al Demanio Civile solamente dopo l’ultima guerra, il che fa supporre una lunga serie di restauri, di rifacimenti e di adattamenti a nuove esigenze. Queste opere, di cui conosciamo solo quelle macroscopiche eseguite in cemento armato durante l’ultimo conflitto per creare otto piazzuole per la contraerea, sono difficilmente verificabili senza un accurato sopralluogo nell’interno della costruzione, oggi praticamente difficilissimo, dato che per impedire l’accesso a vagabondi e sbandati è stato fatto demolire il ponte levatoio e sull’unica arcata d’ingresso, è stata alzata una barriera in muratura.
(Tratto da: “Fortificazioni di Genova” di L.C. Forti, Stringa Editore)
(Planimetria tratta da “I forti di Genova” Sagep Editice)