Sorge in Albaro, chiuso tra i caseggiati ed in posizione defilata; è visibile solo da via Gobetti ed in parte da corso Italia.
È punto di partenza da una parte della retta che congiunge idealmente i forti di S. Martino, S. Tecla, Richelieu e Ratti, e dall’altra delle batterie costiere verso Genova.
Sia durante il bombardamento navale del 1684 che durante il blocco del 1747 e del 1800 la città si era mostrata vulnerabile dal lato mare; e se al ponente la difesa agli sbarchi era fornita dalle colline sovrastanti, a levante la città era più indifesa. Nel 1746 le batterie sono: Malapaga, Carignano, Cava, S. Giacomo, S. Margherita, a difesa del porto vi sono dei pezzi sui moli, alla Darsena, sul molo Vecchio e alla Lanterna. Nel 1747 tutte queste batterie sono risistemate, rinforzate da parapetti e troniere, opera soprattutto dell’architetto Ricca. Ma è il levante che pone spesso problemi, difatti il libero transito delle navi da guerra permette durante tutto l’assedio il rifornimento degli Austriaci in Albaro ed il trasferimento dell’artiglieria dove fosse più necessaria. Nel 1748 vediamo sorgere la batteria di S. Nazaro e di S. Giuliano.
Verso il 1770, su disegni del Codeviola si appronta una nuova e più munita batteria a S. Giuliano, presso la villa del Magnifico Sopranis, appoggiata da una piccola ridotta. La costruzione di un vero forte iniziò nel 1818 e terminò nel 1832. In origine fu concepito come una struttura appena sporgente dal terreno e circondata da un largo e profondo fossato similmente al forte di S. Martino, per non offrire bersaglio alle artiglierie navali.
Il forte era munito di due porte: una a monte, quella attuale, e l’altra rivolta a Genova. Al suo interno si ergeva una costruzione quadrata, forse la primitiva ridotta settecentesca. La caserma prospetta sul lato a monte, più protetto, ed è un corpo formato da due bastioni su un’altezza di tre piani. Gli spalti lato mare e verso Sturla erano muniti di grossi parapetti in terra dietro cui piazzare le bocche da fuoco; quelle da sedici libbre erano puntate sulla campagna, quelle pesanti verso il mare. Una successiva modifica abbatté l’antico fortino lasciando libero un grande spiazzo.
Nella rivolta del 1849 fu occupato dagli insorti ma venne consegnato dal comandante del presidio ai Piemontesi. “Egli portavasi l’8 aprile in compagnia del suo tenente N.N. a parlamentare con Alessandro La Marmora in Sturla e quindi tornava a’ suoi non con onorevoli accordi ma alla testa di duecento Piemontesi ai quali consegnò la fortezza, obbligando i suoi militi ad uscirne disonorati e senz’armi.” (1)
Unico fra tutti i forti ha seguitato ad essere adibito ad usi militari sino ai giorni nostri subendo in continuazione adattamenti.
Il prospetto principale oggi si affaccia sul taglio nella collina effettuato con il tracciamento di via Gobetti per cui il forte che in precedenza era appena sporgente oltre il terreno, ora sembra essere stato messo su di un rialzo. Sulla facciata si apre la porta servita da un ponte levatoio ancora in funzione, la muratura è stata recentemente e malamente intonacata, con scarso gusto ricoprendo la superficie muraria di pietra, gli archi e le spallette delle finestre e gli spigoli di mattone con un’unica crosta grigiastra.
I fianchi Genova e Sturla sono abbastanza integri, anche se soffocati da palazzi. Si possono notare i grossi doccioni in marmo che sporgono per quasi un metro oltre la muratura nel lato meridionale.
Con l’apertura di corso Italia si vedono gli sbrecciamenti effettuati nelle mura per necessità di taglio; appare in vista anche un corridoio interrato emergente dal terrapieno e che doveva servire da sortita antisbarco.
(1) I Moti Genovesi del 1849.
(Tratto da “Fortificazioni campali e permanenti di Genova” di R. Finocchio, Valentini Editore)